L’indagine, svolta in collaborazione con Distribuzione Moderna e con LeFAC.com, è stata lanciata nella seconda metà di luglio ed è terminata il 31 ottobre per un totale di 15 domande, tutte chiuse, di cui 3 a risposta multipla. La partecipazione alla ricerca, strutturata in 8 macro aree, era anonima ed aperta a tutti i professionisti interessati. Gli indicatori emersi sono rapportati solo al campione – 362 partecipanti (+16% rispetto al 2017) e non all’intero mercato delle aziende Italiane.
Per quanto alcuni risultati sembrano convalidare quanto emerso in precedenza, qualcosa sembra muoversi, soprattutto per quanto riguarda le sinergie create tra digitale e sampling. Amazon e il suo progetto pilota “Target Product Sampling” ne sono un esempio, così come il programma lanciato da Henkel, denominato Henkelx, che ha visto che ha visto come protagonista nel 2018 anche Sampler.io, struttura canadese simile all’italiana Simple Sample, entrata nel programma di accelerazione Founders Factory di L’Oréal.
Da quanto emerge dalla seconda edizione della ricerca, nel 2018 sono stati distribuiti oltre 400 milioni di sample, meno dello scorso anno (dato oggettivo riferito solo al campione che ha partecipato). Tra i principali settori si conferma l’alimentare (29,38%) con una crescita notevole rispetto al 2017 (19,41%), la cura della persona (13,75%) e il settore beverage (10,63%) che scalza la terza posizione al comparto farmaceutico, che passa dal 10,62% del 2017 al 7,5%.
Il totale degli investimenti in attività di sampling (media al netto dei costi collegati alla produzione e lavorazione dei sample) si attesta in una forbice tra i 24 e i 51 milioni di euro/anno. La novità più interessante riguarda lo “spending” del budget, ovvero in quale business unit aziendale viene spesato l’investimento in attività di sampling. Quattro diverse divisioni si spartiscono quasi il 90% del totale: il direct marketing ha la percentuale più alta, pari al 32,26%, seguono advertising con il 22%, trade marketing con il 21% e commerciale con il 13,27%.
Per quanto concerne il canale più utilizzato, sul podio sale la veicolazione in-store tramite Gdo (+4,9%) con un indice di 3,8/5. Crescono anche la diffusione tramite riviste (+2,4%) e attività in strada (+11%). Inoltre, la veicolazione attraverso le consegne e-commerce mostra un incremento (+3,5%) pur rimanendo il fanalino di coda con un punteggio di 2,06/5. In calo, invece, marketing partecipativo (-10%), posta tradizionale (-0,9%), eventi outdoor (-13%) e distribuzione indoor (-5,1%).
Rimane ancora debole la call to action, ovvero l’azione che viene richiesta una volta consegnato il sample. È piaciuto? Lo conosceva già? L’ha assaggiato? L’ha comprato? Il 35,63% dei partecipanti alla ricerca non ha inserito nessuna call to action (vs 29,82% del 2017): un’azienda su 3 quindi non verifica il ritorno sull’investimento, né in termini economici né in termini qualitativi.
La “tiepida soddisfazione” si conferma il punto cruciale dei clienti che confermano sia l’incertezza nel rispetto del target ingaggiato sia la difficoltà nel calcolare il grado di dispersione. Confermato anche il 60% di clienti committenti soddisfatti e il rimanente 40% non pienamente soddisfatti. Il grado di soddisfazione risulta direttamente correlato con la claudicante call to action e con il monitoraggio apparente. Tutte aree che richiedono innovazione al fine di aumentare efficacia, efficienza e ROI delle operazioni.
Per quanto riguarda i monitoraggi, invece, cala drasticamente la percentuale di chi dichiara di non aver fatto nessun controllo dal 25,44% del 2017 al 9,2%, ma la tipologia di monitoraggio che registra una crescita maggiore è quella che contiene un palese conflitto di interessi. Infatti, la scelta di affidare il tracking alla struttura che gestisce l’attività di sampling passa dall’11,4% al 32,18%. Interessante, invece, la crescita del monitoraggio dell’attività da parte di strutture indipendenti specializzate che passa dal 10 al 14%.
Per scaricare la ricerca: https://audisample.com/