Poveri e bistrattati marchi italiani di un agroalimentare che il mondo ci invidia: comprati, venduti, poi, spesso, ridimensionati o svenduti. E’ quello che sta accadendo a Carapelli, sulla quale da anni sventola la bandiera della multinazionale spagnola Sos Cuetara, oggi Deoleo.
La giornata di mercoledì ha segnato il clou di una situazione che si trascina da diverso tempo, con l’annuncio da parte della proprietà, di un piano di mobilità per 70 dipendenti su un totale di 280, dopo i 18 già licenziati a gennaio. Nel mirino ci sono i lavoratori degli stabilimenti di Inveruno (Milano) e di Tavarnelle (Firenze).

Motivo? I motivi sono vari, dalla crisi dei consumi, alla crisi stessa che sta colpendo la casa madre, che in Italia ha comprato anche Sasso e Bertolli. Zavorrata da debiti per 1 miliardo di euro, Deoleo è stata “puntellata” inizialmente dalle banche, che ne hanno rilevato un terzo del controllo. Ma oggi proprio le banche iberiche, vogliono ritirarsi, motivando la propria decisione con il fatto che l’agroalimentare non è il loro core business.

Anche i conti di Carapelli Firenze non sono troppo in salute: il fatturato 2012 è sceso a 447 milioni dai 498 del 2011, il Mol a 19 milioni da 21 e le perdite, dopo svalutazioni e ammortamenti, sono pari a 98 milioni. In effetti ci sono molte imprese che stanno ben peggio e dunque il destino più probabile di Carapelli non è tanto una dismissione ma una delocalizzazione o una vendita a un nuovo proprietario. Almeno sono queste le due ipotesi più accreditate dalla stampa quotidiana. Ed è questa ultima via che probabilmente gli stessi lavoratori si augurano.

In un comunicato congiunto il coordinamento nazionale di gruppo Deoleo sottolinea il proprio durissimo punto di vista, parlando di “incapacità del management attuale”. La casa madre, si legge, sta “mettendo contemporaneamente a rischio le prospettive e la tenuta complessiva di una realtà industriale che detiene marchi storici quali, appunto, Carapelli, Bertolli e Sasso”.