di Maria Teresa Giannini

Giovedì 16 marzo il Consiglio Ambiente dell’Ue ha aperto la discussione in materia di imballaggi e rifiuti da imballaggi, passaggio che dovrebbe portare, entro fine aprile, a formulare un disegno di legge da sottoporre alla Commissione europea: la posta in gioco è aggiornare il Regolamento 2019/1020 e l’ormai trentennale Direttiva 94/62 attraverso un nuovo Regolamento, lo strumento più vincolante fra gli atti dell’Unione. Il futuro quadro normativo, in estrema sintesi, prevede una riduzione dello spreco di imballaggi e una maggiore spinta sul riutilizzo, piuttosto che sul riciclo. In molti casi queste finalità stanno creando gravi preoccupazioni. Dunque, il tema è sensibile e non solo per le aziende di marca, ma anche per quelle realtà che si occupano di commercio equo e solidale, come Altromercato, la più grande cooperativa italiana di questo tipo, che però, da sempre, e con anticipo, ha operato sugli stessi versanti sui quali si sta muovendo il legislatore comunitario.

Nata nel 1988 e impegnata da 35 anni a garantire condizioni più eque di produzione e di prezzo, essa lavora prevalentemente con fornitori dell’America Latina (41%), Africa e Asia, ma anche del nostro Paese (per esempio nella filiera del pomodoro).

Altromercato è presente in quasi 200 Pdv nazionali fra monomarca, piccoli retailer, erboristerie e Gdo e considera proprio la sostenibilità del packaging una delle questioni cruciali, anche per la propria mission, come ci spiega la responsabile marketing e sostenibilità, Valeria Calamaro.

Mai come ora il packaging è sotto i riflettori di istituzioni e aziende. Lei cosa ne pensa?

Per chi gestisce alimentari per oltre il 92%, com’è il nostro caso, il packaging è uno dei due elementi che danno valore al prodotto finito, oltre alla materia prima dei cibi, ed è l’unica cosa non totalmente naturale che trattiamo: per questo ce ne preoccupiamo. Nel 2019, pionieri in Italia, abbiamo istituito il “registro degli imballaggi”, per monitorare le quantità prodotte. Puntiamo a massimizzare il riciclo a fine vita, ridurre il peso dei pack e individuare materie prime più ecologiche da utilizzare. Abbiamo intrapreso azioni importanti soprattutto su due delle nostre filiere, come il caffè e il cioccolato.

Ossia?

Per quanto riguarda il caffè, il nostro imballo, brevettato nel 2007, pur essendo un multistrato plastico, non presenta alluminio e studi Lca hanno certificato che riduce del 27% le emissioni pur mantenendo le caratteristiche di barriera, indispensabili per il caffè. Per ottenerlo ci sono voluti 2 anni di ricerche e test, per i quali siamo stati sostenuti dal centro di ricerca di Trieste. Il cioccolato Mascao, il nostro marchio, è stato invece reso “plastic-free”: abbiamo sostituito l’alluminio che di solito avvolge la stecca, con un materiale derivato dal legno, completamente smaltibile nell’umido; un’indicazione che rispetta anche la legge sull’“etichettatura ambientale”, in vigore da gennaio 2022, secondo la quale devono essere indicati i materiali di cui il packaging è composto e la corretta modalità di smaltimento.

Che progressi ha fatto Altromercato sul packaging in generale?

Abbiamo risparmiato 2.500 chili di plastica, sostituendoli con carta e plastica non vergine in un’ottica circolare. In 3 anni siamo al 99,3% di riciclo tramite raccolta differenziata. Alcune confezioni, come quelle da ricorrenza, vengono lavorate a mano in carta-seta ed essiccate al sole, senza nemmeno trattamenti chimici. I nostri cestini da tè, per esempio, sono smaltibili nella carta e sono realizzati in Sri-Lanka: in Paesi come questo, l’artigianato è un vero e proprio strumento di emancipazione, soprattutto per le donne, cosa che ci dimostra quanto i diritti umani e il rispetto dell’ambiente siano legati: in tal senso, accogliamo con favore la maggiore attenzione che di recente sta giungendo dalle istituzioni europee e pensiamo che il progetto della nuova direttiva sulla due diligence, per esempio, sia una bella opportunità per le aziende di cambiare davvero, una volta sostenute da un quadro normativo alle spalle.

Facciamo un passo indietro: quali sono i numeri del vostro ultimo anno?

Secondo il bilancio di sostenibilità pubblicato a giugno 2022, il fatturato di Altromercato ha superato i 34 milioni, con un +0,4% sull’anno precedente. Il nostro gruppo include anche Agrofair, che si occupa di verdura e frutta fresche (soprattutto banane) e del quale deteniamo il 50%: il suo fatturato per l’anno fiscale 2021-2022 ammonta a 22,1 milioni, con un +4 per cento. Abbiamo avviato da poco un protocollo ribattezzato “made in dignity” con importanti partner dell’industria di marca e della Gdo (come Esselunga, Loacker e Ferrero) per le nostre filiere-bandiera, lo zucchero di canna, il cacao, il caffè.

Tornando alla sostenibilità: vi occupate anche di tessile e filati?

La moda è un altro ambito che riserva non poche opacità e che, per impatti sull’ambiente, non è seconda a nessuno, soprattutto quella più cheap: è la seconda industria al mondo per consumo idrico, produce inoltre il 20% del totale delle acque di scarico e il 10% delle emissioni globali. Pensiamo inoltre ai danni sociali provocati sinora dal fast-fashion, venuto alla ribalta 10 anni fa a causa del crollo del Rana Plaza di Dacca, che causò più di 1.100 vittime e diede il via a una prima “fashion revolution”. Di recente la pandemia da Covid-19 ha funzionato da ulteriore detonatore, lasciando milioni di lavoratori senza una paga e senza la sicurezza di un lavoro, in aggiunta alle ovvie preoccupazioni sanitarie. È anche per questo che, ormai da qualche anno, abbiamo lanciato il progetto cooperativo “On earth”: diverse realtà italiane di moda etica si sono unite sotto un unico marchio per realizzare linee che rispettino le stagioni, l’ambiente e, non secondario, le persone.

Oltre al packaging, un altro “terreno caldo” su cui si gioca la partita della sostenibilità è l’approvvigionamento energetico…

Cerchiamo di essere il più possibile green. A Verona, per esempio, dove abbiamo la sede operativa e dove ospitiamo anche altre centrali di commercio equo e solidale, le nostre celle stabilizzate sono alimentate dai pannelli fotovoltaici, che abbiamo installato massicciamente.

L’Italia ha fatto grandi progressi in termini di raccolta dei rifiuti: perché la situazione è ancora preoccupante?

Siamo passati dall’avere centri storici sommersi dalla spazzatura a fine anni ’90 – inizio 2000, a essere considerati un’eccellenza in Europa nel 2020 (con il 72% dei rifiuti, urbani e industriali-speciali, avviati al riciclo, secondo la Fondazione Italiana per lo sviluppo sostenibile, ndr). Resta però un grande problema, quello della quantità assoluta di plastica creata, che sviluppa poi un unico ciclo di vita. Infatti, nonostante le suddette cifre incoraggianti, sono ancora troppi i rifiuti che noi italiani esportiamo (secondo Ispra 659 mila tonnellate nel 2021, il triplo di quelli importati, ndr) e buona parte di questi sono polimeri. A differenza del tasso di riciclo della carta, che si colloca fra l’81 e l’85%, quello delle plastiche, specie se morbide, è molto inferiore. Nel 2030 saremo 8 miliardi e mezzo nel mondo e sarà intollerabile continuare a produrre plastica ex-novo.