L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi, qualche amenità: il 5,8% è convinto che la Terra sia piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone. Ma perché sta succedendo? Perché molte aspettative soggettive tradite hanno provocato una fuga nel pensiero magico, portando al ripiegamento su se stessi e a un abbassamento dei “rendimenti” degli investimenti, sentimentali ed economici, nei valori sociali.

Per l’81% degli italiani oggi è molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio. Il rischio è di un rimbalzo nella scarsità, nel pauperismo culturale, che frenerebbe ulteriormente la ripresa economica.

A dipingere questo scenario, teso fra paura e bisogno di riscatto, è il Censis nel 55° ‘Rapporto sulla situazione sociale del Paese’, dal quale si comprende come il sonno della ragione, che ha radici ben più profonde di quelle piantate dal Covid, generi davvero mostri, ossia rischi tangibili di innescare un rifiuto generalizzato, che a sua volta nutre l’apatia e l’arrendevolezza.

Le ragioni profonde della negatività degli italiani sono nella bassa crescita economica, che comporta minori ritorni in termini di gettito fiscale e che, conseguentemente, alimenta la spirale del debito pubblico.

Un fatto concreto e misurabile è l’erosione del patrimonio delle famiglie. Solo il 15,2% degli italiani ritiene che, dopo la pandemia, la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà.

La ricchezza complessiva delle famiglie è ancora grande - oggi pari a 9.939 miliardi di euro -, ma, nell’ultimo decennio (2010-2020), questo immenso tesoro si è ridotto del 5,3%, come esito della caduta del valore dei beni reali (-17,0%), non compensata dalla crescita delle attività finanziarie (+16,2%).

Le minacce paventate durante la pandemia (crollo dei consumi, chiusura delle imprese, fallimenti, licenziamenti, povertà diffusa), vengono ormai incanalate nel timore di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli, mai rimossi, o in altre difficoltà impreviste, tanto più insidiose quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce. A cominciare dalla paura di uno stabilizzarsi della fiammata inflazionistica. A ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell’industria è stato consistente: +20,4% su base annua e +80,5% per l’energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura, +4,5% per le costruzioni.

E se i consumi delle famiglie italiane sono in rialzo, a partire dal secondo trimestre del 2021, grazie alle misure di contenimento del virus, prima, e al successo della campagna vaccinale, poi, la spesa totale è ancora di 8,4 punti al di sotto dei valori del 2019. Nei servizi, dove il crollo è stato più significativo, alla fine di giugno il recupero, rispetto al 2019, era incompleto per 14,1 punti. È prevedibile che la risalita proseguirà nei prossimi mesi, ma è difficile al momento immaginarne la forza.

Nell’ultimo decennio è anche calata la produttività oraria. In questo contesto, le opinioni degli italiani convergono sull’utilità dello smart working: il 53% si dice parzialmente d’accordo e il 23,9% d’accordo sul fatto che la sua adozione possa aumentare le performance aziendali. Ma è un cerotto su una piaga e il problema, ovviamente, rimane. Nel 2020, per esempio, la produzione agricola nazionale è risultata in calo del 3,3%, con una contrazione del valore aggiunto del 6,1%, e l’industria alimentare ha presentato una contrazione del 2,5% rispetto al 2019, invertendo bruscamente il percorso di crescita consolidato negli ultimi anni (tuttavia, la produzione industriale complessiva è crollata dell’11,4%). In termini di valore aggiunto, l’agroindustria era cresciuta del 10,9% in termini reali tra il 2010 e il 2020, mentre nell’ultimo anno ha perso l’1,8 per cento. In positivo si osserva che il suo peso percentuale sul manifatturiero è cresciuto ancora, raggiungendo il 12,7 per cento. La solidità della filiera del food insomma ha retto alla prova della pandemia e, già nella prima metà del 2021, tutti gli indicatori la segnalano come protagonista sui mercati esteri.

Altre incognite, ma anche importanti segnali positivi, vengono dalla logistica. Nei primi sei mesi del 2020 il traffico veicolare leggero sulla rete autostradale è crollato del 43,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La contrazione è comunque elevata (-32,1%) anche considerando tutto il 2020 rispetto al 2019.

La ripresa, nel 2021, del traffico merci riflette l’andamento economico del Paese. Con il rilancio delle esportazioni sono cresciute le merci trasportate via mare (+5,3% nei primi sette mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2020) e su rotaia (+7,8%). Recuperano anche gli spostamenti su gomma (-1,4%), mentre il solo il traffico aereo registra un dato fortemente negativo, di oltre 64 punti.