Chiusi, o semichiusi e pure beffati: questa la sorte di molti piccoli commercianti, artigiani e ristoratori che, nel 2020, pur producendo, per forza di cose, meno rifiuti, hanno visto aumentare la Tari fino a 9,73 miliardi rispetto ai 9,72 del 2019. Può sembrare poco, ma diventa molto se si pensa ai numerosi blocchi da emergenza sanitaria, al fatto che, comunque, l’imposta continua a seguire una vertiginosa curva di incremento da 10 anni a questa parte – con un +80% cumulato – e che lo scorso anno sono state prodotte oltre 5 tonnellate di scarti in meno.

A dirlo è l’Osservatorio tasse locali di Confcommercio, strumento permanente dedicato alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni sull’intero territorio relativi, appunto, alla tassa rifiuti pagata dalle imprese del terziario. Nel 2020 l’Otl ha censito le delibere e i regolamenti di tutti i Comuni capoluoghi di provincia e più di 2.000 municipi di piccole e medie dimensioni.

L’Arera, l’autorità di regolazione e controllo in materia di rifiuti urbani, aveva stabilito che, nel corso del 2020, sarebbe dovuta diventare operativa l’adozione del nuovo Metodo tariffario rifiuti (Mtr), con l’obiettivo di evitare voci di costo improprie, inefficienze e assicurare una maggiore aderenza delle tariffe pagate a quelle che sono le vere utenze e la reale produzione dei rifiuti.

Secondo l’analisi dell’Osservatorio, invece, su 110 capoluoghi di provincia e città metropolitane, quasi l’80% non ha ancora applicato e neppure definito il nuovo metodo. Non solo: il 21% dei Comuni che si sono già modernizzati, in più della metà dei casi (il 58%), hanno livelli di Tari che crescono, mediamente, del 3,8 anno su anno.

Due esempi: nel Comune di Ancona, per un bar di 100 mq, la Tari 2020 aumenta di 112 euro. Per un supermercato tascabile, un libero servizio di 100 mq, nel Comune di Torino la variazione è, addirittura, di 312 euro.

Scarica il rapporto 2020