Con oltre 1.300 milioni di fatturato, 11 stabilimenti produttivi in Italia e 8 all’estero, circa 80 Paesi serviti, una presenza diretta, tramite filiali e controllate, in 14 nazioni, 40 milioni di consumatori nel mondo, Gruppo Granarolo è la maggiore filiera italiana del latte e derivati. Un colosso cui fanno capo oltre 600 allevatori distribuiti in 12 regioni del nostro Paese.
Abbiamo chiesto al
direttore generale, Filippo Marchi, di tracciare un bilancio del 2020 e dei futuri sviluppi strategici.

Quali fenomeni hanno condizionato maggiormente il vostro business?

Se il Covid, in una certa misura, ha risparmiato l’alimentare, il 2020 si chiude, per noi, con un calo di fatturato, un piccolo arretramento che è la sommatoria di una parte retail positiva, in crescita del 5 per cento, e di un significativo impatto derivante dal fuori casa. La flessione del mondo Horeca si è attestata sul 25-30 per cento medio, con picchi del -80% da marzo a maggio. Ricordo che, per Granarolo, il mondo ristorativo, commerciale e collettivo, è molto importante, rappresentando il 30-35 per cento delle vendite, per oltre 40.000 punti di consumo serviti.

Come avete affrontato l’emergenza?

La crisi del canale ci ha portato a formulare piani di trasformazione della nostra struttura e, almeno in parte, stiamo ancora lavorando sulle modalità operative da adottare quando i nostri clienti riapriranno al 100 per cento. La tentata vendita, tipica del lattiero caseario, è da affiancare al preordine, grazie alla nostra piattaforma digitale B2B MyZero4, la quale permette di avere la visibilità delle oltre 300 referenze disponibili, di condurre la transazione e di avere una data di consegna certa. Questo per evitare inefficienze: resi, sprechi e invenduti. La piena ripresa, quando ci sarà, resta comunque una fonte di preoccupazione e credo che i problemi si protrarranno ancora per tutto il primo semestre. Del resto, le stime parlano di un terzo di esercizi che non riapriranno più, un fatto gravissimo, dal momento che la ristorazione è una fondamentale componente di business per tutto il Paese.

E all’estero?

L’estero ha tenuto, perché qui, appunto, prevalgono i clienti retail. Non a caso, a registrare le maggiori difficolta, è stato, per noi, il Regno Unito, dove l’80% delle nostre vendite locali, circa 60 milioni di sterline, è dovuto al food service. La Francia, il nostro primo mercato, con 160 milioni di euro di giro d’affari, ha dato, invece, un’ottima risposta, visto che il 70% di vendite retail ha largamente compensato le flessioni dell’Horeca. Nell’Esagono abbiamo addirittura superato, in termini di crescita, le private label, che sono state fra i prodotti più dinamici dei vari lockdown. Bene anche in Sudamerica, 50 milioni di fatturato - di cui la maggior parte dovuti al Brasile -, anche se abbiamo dovuto scontare le ricadute valutarie, legate alla forza dell’euro. Molto positivo il Far East, specie per le panne, il burro, il mascarpone, e questo anche grazie al fatto che la Cina è stata fra le prime a uscire dal lockdown. Male, al contrario, negli Usa, dove la pandemia ha infierito in modo particolare.

Parliamo degli andamenti merceologici…

Come sappiamo il Covid ha premiato i beni con il più alto livello di servizio, mentre la data di scadenza corta del latte fresco è stata uno svantaggio. Voglio ricordare che Granarolo si è fatta promotrice, già tempo fa, di un aumento della shelf life – ancora di 6 giorni dalla data di confezionamento –, avendo tutti i mezzi tecnologici per arrivare a 10-12 giorni, una proposta che purtroppo è stata bocciata. Così l’Italia è rimasta fra i Paesi con la data di scadenza più breve e questo, oltre a generare continui e inutili sprechi, in tempi di scorte alimentari ha causato ulteriori danni. Granarolo, dal canto suo, ha recuperato, grazie alla propria leadership nel segmento dell’extended shelf life, cioè del prodotto fino a 30 giorni in confezione chiusa. Crescite estremamente importanti anche su tutto il segmento Uht, con panne, burro e mascarpone che in alcuni mesi hanno fatto segnare addirittura un +50 per cento. Benissimo anche per tutti i prodotti da impiegare come ingredienti – uova, formaggio, latte a lunga conservazione -, che si sono dimostrati molto dinamici anche nel periodo natalizio. Per ragioni più che note le famiglie hanno cucinato molto a casa sia in Italia, sia all’estero, una buona cosa per Granarolo, presente in forze oltre confine.

In ottobre avete ceduto Pandea a Morato. Non è una contraddizione rispetto alla vostra abituale linea espansiva?

La crescita del gruppo continuerà, ma sarà concentrata sul core business lattiero-caseario e comporterà, dunque, il progressivo distacco delle attività non strategiche. Questa linea di condotta è resa indispensabile dall’elevata competitività di un settore in cui operano le multinazionali. Per rivaleggiare bisogna qualificarsi, dando nuove opportunità di crescita alla filiera italiana in termini di latte lavorato, un fatto che porterà vantaggio a tutti gli stakeholder e ai nostri soci. Concentrarsi su nuove tecnologie e su nuove produzioni è un obiettivo molto realistico, visto che il latte può essere utilizzato in moltissime occasioni. Vogliamo proporci, sempre più, come l’aggregatore del dairy italiano. E se ci saranno altre acquisizioni, italiane ed estere, esse avverranno proprio nel mondo del latte e derivati.

Private label: sono un’opportunità o un concorrente?

Nelle private label abbiamo rotto da tempo il tabù della dicotomia fra Mdd e marche industriali. Mai come in questo periodo la crescita delle Pl è stata significativa e, in molti nostri mercati, primo fra tutti il Regno Unito, esse hanno il 50% del mercato. È evidente che, per un operatore internazionale e di sistema, come Granarolo, la produzione per i grandi retailer è un ulteriore orizzonte di affari, anche se per noi questa attività rappresenta ancora il 10% circa dei ricavi. Ma tale quota è in forte crescita, visto che vogliamo essere partner delle grandi catene e offrire loro una gamma il più possibile ampia di prodotti e servizi, garantendo, fra l’altro, l’ottimizzazione della materia prima e l’efficienza della supply chain. Così, per alcuni clienti britannici, come Sainsbury, siamo oggi l’unico fornitore di prodotti lattiero-caseari italiani. Del resto, in tutti i grandi mercati, dalla Francia alla nostra Italia, la divisione private label ci sta dando ottimi riscontri.

Concludiamo con un breve focus sulla sostenibilità…

A nostro avviso anche qui ci sono notevoli opportunità, che permettono al latte di dire molte cose nuove. Il nostro grande impegno va verso il benessere animale certificato, il sostegno alle comunità locali – un obiettivo che perseguiamo da anni -, la riduzione della plastica da imballaggio, la razionalizzazione ecologica delle modalità di trasporto. E sostenibilità vuol dire anche, naturalmente, rispettare i bisogni del consumatore grazie prodotti a basso, o nullo, contenuto di sale, zucchero, lattosio. Così Yomo, da fine aprile, sarà a scaffale con confezioni che non prevedono l’uso di polimeri.

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